Ci
si interroga spesso sui motivi per i quali indirizzare i
nostri giovani alla pratica sportiva e una delle domande sicuramente
più controverse riguarda l'effettiva validità del perseguimento
del risultato come obiettivo regolatore nell'insegnamento della
pratica sportiva.
Vorremmo
a tal proposito chiarire alcuni concetti-chiave nella comprensione
del nesso sport-agonismo-competizione-risultato, nell'avviamento alla
pratica sportiva dei giovani.
Nella
pratica concreta e quotidiana dello sport, alla quale cerchiamo di
indirizzare i nostri giovani, che rapporto sussiste veramente tra
modello vincente, risultato sportivo e i valori di natura morale e
formativa cui dovremmo avvicinare i nostri giovani. Il perseguimento
del risultato deve essere messo da parte nell'insegnamento dello
sport? O al contrario proprio la definizione di obiettivi, purché
stabiliti in maniera realistica e adattati al singolo individuo,
costituisce un momento di crescita umana oltre che perfezionamento
atletico ?
Quando
guardiamo un campione trionfare in una prova olimpica e ne rimaniamo
affascinati, sino alla commozione, questo avviene sopratutto per un
fenomeno interiore di empatia, ovvero
per un procedimento interno di partecipazione all'impresa
sportiva. Ci si immedesima nelle gesta del campione, si percepisce
per un istante l'emozione che possa scaturire dal provare il
raggiungimento della vittoria, della grandezza, dell'eccellenza.
Per
lo stesso motivo per il quale esiste tale fenomeno di partecipazione
empatica alle gesta sportive di un singolo atleta o di una
squadra, scaturiscono fenomeni come quelli del "tifo", nel
quale addirittura la partecipazione emotiva raggiunge dimensione tali
da consentire la formazione di una comunità umana. Ma lo sport
parimenti mostra il carattere ristretto del successo, e che il
campione è solo uno, e si affermerà sugli altri grazie ad un
connubio di qualità , in parte naturali, in parte legate alla sua
migliore preparazione sportiva, ma soprattutto grazie ad una
differente “visione”, “sogno”, per citare il grande Muhammad
Ali:
<<I
campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono
dall'interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un
desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l'abilità e la
volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell'abilità>>.
Se
quindi il campione è un insieme di qualità fisiche, morali,
interiori e di una predisposizione alla fatica e al lavoro
quotidiano, esso può costituire modello imitativo positivo per tutti
e non si può pensare che l'obiettivo del successo sia qualcosa di
secondario nella pratica sportiva, o da abolire in nome di una
presunta teoria dello sport quale pura pratica fisica, dimenticando
che il raggiungimento di un obiettivo è forza motrice dell'animo
umano, è linfa vitale del percorso dell'esistenza e migliore
antidoto per ogni forma di malessere interiore, tra le cui cause vi è
la perdita di motivazioni personali, esistenziali. Si tratterà
pertanto di definire e regolare l'entità e la portata
dell'obiettivo da raggiungersi, che non potrà essere per ciascun
individuo la stessa, ma proprio all'allenatore, agli istruttori
sportivi spetterà l'onere di stimolare il ragazzo al perseguimento
di un senso valido per se stesso, prima ancora che per chiunque
altro.
<<L'uomo
può realizzare delle cose stupefacenti se queste hanno un senso per
lui.>>
(Carl
Gustav Jung)
La
pratica sportiva assume un importanza che va oltre il risultato
sportivo, laddove essa insegni che nello sport c è molto di più che
non solo sport, poiché questo è metafora della vita, poiché in
esso si sperimenta il risultato o la perdita, l'assunzione di
responsabilità dei propri errori, il confronto con un avversario che
è specchio di se stessi, occasione per confrontarci con i nostri
limiti.
Lo
sport insegna intelligenza tattica, ma soprattutto capacità di
perseveranza quando sussistano momenti di difficoltà ed occorra
impegno e dedizione per superarli, insegna a vedere noi stessi nella
nostra migliore espressione.
La
creazione degli obiettivi pertanto dovrà procedere progressivamente
e di pari passo con la revisione costante (feedback)degli
obiettivi centrati e dei fallimenti, questi ultimi analizzati senza
atteggiamenti colpevolizzanti ma rendendo il ragazzo consapevole
razionalmente dei motivi alla base degli stessi, evidenziando quelle
che si possano ritenere le principali lacune sulle quali intervenire
con l'allenamento.
Ed
è grazie a quest'ultimo, alla pratica quotidiana, alla fatica , che
non dovrà essere temuta o demonizzata, bensì presente
nell'educazione del giovane sportivo come componente fondamentale
della strada che conduce al risultato. <<Fatica>> che ,
citando
la leggenda dell'atletica italiana e mondiale Pietro Mennea <<non
è mai sprecata.
Soffri,ma
sogni!>>.
Ecco
dunque che il modello del campione tornerà ad essere motivo di
ispirazione, perché
ovviamente nessuno forse potrà mai essere come i più grandi
campioni, ma questi potranno
costituire esempio, unità di misura non tanto e solo per la
grandezza delle imprese sportive, ma soprattutto per la loro
attitudine, fino a trasformare noi stessi in qualcosa di migliore,
senza rinunciare al nostro personale “sogno”, alla nostra
“visione”,poiché si può essere i più grandi campioni della
propria esistenza.
Essere i Muhammad Ali di se stessi,questa sarà la vera, grande
vittoria.
Giorgia
Di Paola
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